Imparare un mestiere richiede tempo, impegno e applicazione. È un processo lento, e finché non si è imparato abbastanza si è dei semplici apprendisti. Il maestro, che istruisce l’apprendista, si fa carico della crescita professionale del proprio pupillo, mentre quest’ultimo, con umiltà, accetta senza riserve gli insegnamenti che gli vengono impartiti.

Tutto questo appare piuttosto naturale. Ciò che non lo è del tutto è che, da qualche anno, avere un’opinione richiede il medesimo iter e lo stesso tipo di impegno. Ma perché è necessaria tanta arte per potersi permettere un’opinione? Non dovrebbe invece essere semplice e naturale averne una propria?

La risposta è: l’opinione, alle nostre latitudini, ha assunto un senso diverso da quello originario, etimologico.

Averne una non vuol dire applicare la propria intelligenza e capacità di discernimento per valutare le situazioni ed interpretarle. Proprio no. Avere un’opinione sembrerebbe voler dire imparare, possibilmente a memoria, una lezione su ciò che è buono e ciò che è cattivo, su ciò che è permesso e su ciò che è proibito, su ciò che è accettabile e su ciò che è inammissibile. Un sistema completo e piuttosto coerente, quindi, creato da qualcun altro, non generato da ciascun individuo ma da un’entità superiore non facilmente identificabile.

Quando una persona decide di avere un’opinione deve studiarne coscienziosamente i precetti, e anche dare prova di saperli arricchire e irrobustire con una dialettica efficace e, possibilmente, con un po’ di violenza. Raggiunti tali obiettivi, il maestro dà una bella pacca sulla spalla all’allievo, e questi capisce di essere finalmente diventato ciò che sognava di essere: un opinionista.

Dovrà, da adesso in poi, solo perpetuare tali insegnamenti, e in cambio avrà un lavoro desiderabile e ben retribuito. Altro che disoccupazione. Di schiavitù c’è un’offerta sterminata.

ps: il controllo ortografico di TextEdit del mio Mac segna ‘opinionista’ come errore. Amo il mio Mac.