Tempo fa me ne andai dall’Italia, perché non ne ero più all’altezza. Raccattai bassi, chitarre, il mio Mac e forse qualche mutanda, e passai il confine. La mia storia di emigrazione è molto, molto triste, ma con un lieto fine. È andata più o meno così.

Per anni avevo avuto la fortuna di avere lavoro altamente qualificato a profusione, un lavoro di giornalista. Non solo: tutto questo lavoro altamente qualificato a profusione non era mai stato immiserito da oltraggi alla dignità quali denaro, gratificazioni morali o, peggio ancora, contratti. Era puro, candido. Virginale. Poi, ad un certo punto, vai a capire perché, ho cominciato a nutrire pulsioni plebee quali brama di quattrini, voglia di borghesi sicurezze e altre cose perfino peggiori. Stavo diventando ignobile. Per fortuna in Italia certe porcherie non si fanno. Così, per poter sfamare l’animale che mi porto dentro, sono stato costretto a rivolgermi all’estero.

Ho mandato un curriculum in Spagna. Uno solo. Sono stato contattato dall’azienda, mi hanno fatto test, prove e colloqui, tanti. E mi hanno assunto. Ora vivo a Barcelona, e ogni volta che trotterello verso la metropolitana per andare a lavorare fischiettando O Freunde nicht diese Töne penso sempre: bisogna ringraziare Iddio che ci siano tanti posticiattoli al mondo in cui le persone indegne del Bel paese riescano a farsi un vile nido. Cosa diventerebbe sennò la povera Italia? Una Tortuga, una Sodoma. Meno male, guarda. Meno male.

A proposito: su vivoaltrove.it ci sono altre storie di emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi. Tanto per dare un’idea di quanta gentaglia poteva aggirarsi ancora per le piazze e le città italiane e invece ha tolto il disturbo. Bardzo dobrze.

I Vitelloni

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